Una testimonianza

9 OTTOBRE 1963

UNA TESTIMONIANZA DI ANNA DE LORENZI (CASSO)

Quella sera, misi a dormire Renata e Fausto e poi andai da Magareta che abitava di fronte a me, per osservare dalla sua terrazza il Toc illuminato da un faro, situato in prossimità della diga del Vajont. Erano passate le ventidue e trenta.


Ad un tratto, vedemmo le piante di pini e larici che si muovevano col terreno sottostante. Subito dopo la luce del faro si spense e sentii un rumore indescrivibile, che non avevo mai sentito prima e Magareta mi disse: – Viene la fine del mondo. Allora ci riparammo vicino al muro della casa, perché cadevano sassi da tutte le parti e l’acqua ci aveva bagnate.
Guardai il cielo e vidi che era sereno, c’erano anche le stelle. Poi ci ritirammo in casa. Dopo attimi di smarrimento io dissi che andavo a vedere dei miei bambini che erano soli. Uscii sotto il portico e poi mi trovai sulla strada che dovevo attraversare per andare a casa mia. Era invasa dall’acqua e non potei passare. Dovetti ripararmi ancora sotto il portico e attendere qualche minuto perché l’acqua cessasse. Poi entrai in casa di corsa.

 


Trovai Renata disperata perché la finestra della camera si era aperta ed era entrata l’acqua bagnando tutto. Renata mi disse: “Dov’eri, io ho chiamato e non mi rispondevi , la luce non si accende e siamo tutti bagnati”. Io accesi la candela, preparai i bambini e andammo tutti a casa di mia madre. Là c’era tutta una disperazione perché mancavano mia sorella Giacomina e mio fratello Dino.
Portai i miei bambini e Gervasia nel letto di mia madre e poi scesi in cucina. Poco dopo arrivò Luciano, mio nipote, che era già tornato da “Fraséign” in compagnia di altri uomini, dove si era recato precipitosamente a cercare sua madre. Era disperato, piangeva e diceva: “Come facciamo adesso noi senza mia mamma? Siamo in tre fratelli e Gervasia è ancora piccola”. Intanto era arrivata anche la nonna Pasca e sentendo questo li consolava e battendosi il petto ripeteva: “Sono qua io, penso io, non preoccupatevi, faccio tutto io”. E Luciano rispondeva: “Tu nonna , sei vecchia e mia mamma non c’è più . Come facciamo noi adesso che nostra mamma è morta? A Fraséign non ci sono più le casere. le stalle, non ci sono più strade, non c’è più niente!”

 

 

Lo guardai bene e mi accorsi che era tutto infangato, dai capelli ai piedi. Aveva le scarpe deformate per aver camminato al buio, nella melma, perché non c’era più neppure la traccia della strada. Mia mamma diceva: “Chissà il mio Dino, se è ancora in paese o se è già andato in cantiere”. Le restava un filo di speranza, più tardi seppe che era già partito e allora afflitta profondamente nel sentire questa notizia si chiuse in se stessa e non parlò più. Arrivò altra gente in casa, mia madre non voleva vedere nessuno, voleva essere lasciata in pace, perché pensava ai suoi figli, a Dino che non aveva ancora compiuto 24 anni, a Giacomina che lasciava tre ragazzi soli.
Intanto, Gervasia, dalla camera da letto, continuava a chiamarmi e a supplicarmi di mandarle su la mamma. Insisteva a voler sua mamma e io non sapevo cosa dirle, poiché era morta. Le mentivo dicendo: “Verrà domani”.
Fu una notte terribile che non vorrei più ricordare, mi si stringe il cuore a parlarne; ho un nodo in gola e non riesco a trattenere le lacrime.